Abbiamo 158 visitatori e nessun utente online

Psicologia e Spiritualità

METEO

Consiglio Comunale


 
Valutazione attuale:  / 1
ScarsoOttimo 

La proposta di approvazione del jobs act renziano in Italia, salutata da tutti (i capitalisti) come un trionfo di modernità nell’equità, lascia in realtà molti dubbi circa la reale equità del provvedimento legislativo. Non sto riproponendo i “paletti” pro classe operaia nati ai tempi del partito comunista in difesa del “posto fisso”.

job act

Ho già chiarito in un recente articolo che non è compito dell’impresa garantire il posto di lavoro ai lavoratori ma è compito dello Stato (che lo può fare in vari modi ma finora li ha sbagliati praticamente tutti, perché ha privilegiato gli interessi dei politici a entrambi gli interessi, delle imprese e dei lavoratori).

Però prima di liberalizzare le regole e i diritti dei lavoratori bisogna almeno vedere cosa succede nei paesi (come gli Stati Uniti) dove lo Statuto dei Lavoratori (che contiene l’art. 18) non è mai esistito e dove i sindacati hanno perso ormai quasi completamente la loro rappresentatività e forza.

Nel caso che illustrerò tra poco non ci sono discriminazioni e art. 18 da discutere, ma c’è un evidente abuso aziendale e sfruttamento sui lavoratori interessati.

Il “caso”, riportato nel corrente numero di Bloomberg BusinessWeek col titolo “Amazon packers say waiting in line is work” (Gli addetti all’imballaggio di Amazon dicono che stare in fila è lavoro”), è quello dei lavoratori di Amazon, costretti a mettersi in lunghe file per uscire al termine dell’orario di lavoro. La ragione è che, Amazon, al fine di evitare i piccoli furti che alcuni lavoratori disonesti praticano nascondendo nei propri indumenti alcuni tra i più svariati oggetti venduti dalla ditta, obbliga tutti i dipendenti di quei reparti a mettersi in fila per essere perquisiti più o meno come si fa negli aeroporti.

Questi lavoratori non sono però veri dipendenti di Amazon, ma dipendenti della “Integrity Staffing Solution”, una nota agenzia di lavoro interinale che offre alle imprese lavoratori temporanei (“Integrity” sembra sia stato scelto apposta per mettere insieme al danno per i lavoratori anche la beffa).

Quella delle agenzie interinali è una pratica molto nota anche in Italia che consente all’impresa produttiva o commerciale di aggirare le norme sul lavoro e i diritti dei lavoratori. Infatti tutti i lavoratori interinali sono a tempo determinato e hanno poche o nulle tutele, salvo quelle previste dalle leggi nazionali. Possono quindi essere licenziati in qualsiasi momento. Esattamente come è successo ai due lavoratori che hanno osato protestare con la “integrity” rivendicando il pagamento del tempo che l’azienda, allo scopo di scoprire eventuali furtarelli, li costringe a lunghe file prima di uscire, non essendoci sindacati alla “integrity” i due si sono rivolti a dei legali i quali, rivalendosi sul “Fair Labor Standard Act”, una legge del 1947, e su due sentenze successive della Corte Suprema che prima aveva dato torto a lavoratori che pretendevano di essere pagati per il tempo impiegato a recarsi al lavoro e tornare a casa, e poi ha dato invece ragione ai lavoratori di una fabbrica di batterie che reclamavano la retribuzione del tempo speso prima di uscire, per fare la doccia al fine di togliersi di dosso le tracce di acido solforico. Gli avvocati dei due lavoratori sostengono che i due hanno diritto alla retribuzione per quel lungo tempo trascorso in fila in attesa della “perquisizione”. Ma sia da Integrity che da Amazon tale diritto viene invece negato.

Per questo stesso tipo di abuso però sono state avanzate cause legali anche presso altre Corti di Giustizia, stavolta a carico di JP Morgan, Ing, Wal*Mart ecc., Alla fine, dato che nessuna di queste Alte Corti Statali se l’è sentita di interpretare una precedente decisione della Corte Suprema, hanno rinviato la soluzione all’attuale Corte Suprema, che dovrebbe perciò prendere una decisione nei prossimi giorni.

Ma non è ridicolo che un banalissimo caso come questo, che in Italia ed in Europa viene normalmente risolto nella contrattazione collettiva tra imprese e sindacati, debba invece, dove la contrattazione collettiva è ripudiata, arrivare persino al giudizio della Corte Suprema? Non è evidente il doppio abuso delle aziende, che prima si servono di una agenzia interinale per poter licenziare qualsiasi lavoratore con la massima libertà possibile e poi lo sequestrano per intere mezz’ore all’uscita dello stabilimento al solo scopo di accertarsi che tra quelle centinaia di onesti lavoratori non si nasconda qualche ladruncolo?

E’ questa la dignità che pensano di dare al lavoratore quando dicono che l’imprenditore è il primo ad aver cura dei propri lavoratori perché sono un “investimento”. Altro che investimento, questo è sfruttamento in piena regola! Vogliono fare i controlli, va bene, ma almeno paghino il tempo che fanno perdere al lavoratore onesto prima di uscire dall’azienda. (Quello disonesto, si sa, lo licenziano in tronco senza problemi, anche con l’art 18!).

In Italia e in Europa non è ancora come nei casi sopra descritti, ma a lasciarli fare il futuro purtroppo è quello: lo si vede anche nel job act, dove in cambio di una promessa vaga vorrebbero sopprimere subito un diritto certo.

Non è lo Statuto dei Lavoratori a tener lontano gli imprenditori, e comunque, certi imprenditori che verrebbero in Italia solo per saccheggiare a man bassa il nostro patrimonio industriale è meglio che se ne stiano dove sono. Gli imprenditori sani ed intelligenti li abbiamo anche noi, e i soldi lo Stato ce li ha se butta alle ortiche i “vincoli di stabilità” che ci stabilizzano solo nella corsa allo sfascio.

Teniamoci stretti il nostro Statuto dei Lavoratori e le nostre imprese finché ci sono, e avviamo una seria politica del lavoro senza scimmiottare come al solito gli americani in ciò che fanno di peggio.

Dallas, Texas

Fonte Articolo: http://www.ilfattoquotidiano.it/

Submit to FacebookSubmit to Google BookmarksSubmit to Twitter
comments

Seguici su FACEBOOK