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Processo Bnl-Unipol, i giudici: ''Berlusconi agì da capo politico''

Processo Bnl-Unipol, i giudici: ''Berlusconi agì da capo politico''

Milano - (Adnkronos) - Le motivazioni della sentenza con la quale i giudici hanno condannato l'ex premier a un anno per concorso in rivelazione di segreto d'ufficio: ''Decisivo il suo ruolo nella pubblicazione della telefonata tra Fassino e Consorte''. E si sottolinea: ''Evidente l'interesse politico dell'intercettazione così come la volontà di darvi risalto''. Ghedini-Longo: ''Motivazioni dimostrano il pregiudizio dei giudici''

 

Milano, 4 giu. (Adnkronos) - Senza ''l'apporto'' di Silvio Berlusconi ''in termini di concorso morale, non si sarebbe realizzata la pubblicazione, posto che la presenza in quel luogo e data, certamente significativa, già di per sé, costituiva il passaggio necessario per l'ulteriore sviluppo della propalazione della notizia alle persone che non ne erano a conoscenza''. E' quanto scrivono i giudici della quarta sezione del tribunale di Milano nelle motivazioni della sentenza che ha condannato l'ex premier Silvio Berlusconi a un anno per concorso in rivelazione di segreto d'ufficio.

Il riferimento è alla telefonata tra Piero Fassino e Giovanni Consorte che Berlusconi avrebbe ascoltato la vigilia di Natale del 2005 e che poi è stata pubblicata sul quotidiano 'Il Giornale'."La sua qualità di capo della parte politica avversa a quella di Fassino - scrivono i giudici - rende logicamente necessario il suo benestare alla pubblicazione della famosa telefonata, non potendosi ritenere che, senza il suo assenso, quella telefonata, che era stata fatta per altro ascoltare a casa sua fosse poi pubblicata".''A fronte della distonia delle affermazioni degli imputati - si legge ancora - va detto che non è credibile, né in generale né tantomeno alla luce di tali affermazioni, che Silvio Berlusconi non fosse stato almeno messo al corrente dal fratello, anche poco prima dell'incontro, dell'intenzione di Favata e Raffaelli di fargli sentire la conversazione''. ''Anche nel racconto di Raffaelli quello meno coinvolgente nei confronti di Silvio Berlusconi si riferisce che - scrivono i giudici - dopo le presentazione e le battute iniziali, Paolo (Berlusconi, ndr) si rivolse a lui dicendogli 'fai sentire quella cosa' indicandolo con ciò a far sentire la registrazione; tale battuta appare francamente strana, ove Silvio Berlusconi fosse stato ignaro dei propositi dei suoi interlocutori''. I giudici nelle motivazione alla sentenza sottolineano che Paolo Berlusconi ''era ben consapevole come fratello della contrarietà di Silvio a quel tipo di comunicazione, e come editore del giornale, della illiceità dell'ascolto stesso''. Quanto alla posizione di Roberto Raffaelli, i giudici affermano che, recandosi ad Arcore, ''era per certo consapevole che si trattava della realizzazione di un grave illecito penale e che lo avrebbe esposto in caso di rifiuto al rischio di essere denunciato e di perdere tutto. Egli pertanto - osservano - doveva ben contare sull'assenza di alcuna forma di rischio''. ''Va inoltre considerato - aggiungono - il periodo in cui venne effettuata la pubblicazione, a 4 mesi dalle elezioni e nel pieno delle vacanze natalizie, periodo di scarsa affluenza di notizie politiche più importanti: l'interesse politico dell'intercettazione era pertanto evidente così come la volontà di darvi risalto''. "Tenuto conto della qualità di pubblico ufficiale di Silvio Berlusconi - continuano -, e della lesività della condotta nei confronti della pubblica amministrazione, gravemente danneggiata dalla plateale violazione del dovere di fedeltà dell'incaricato di pubblico servizio, dotata di grande rilevanza mediatica risulta pertanto giustificata la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche". I giudici sottolineano di aver tenuto conto anche della "insufficienza della condizione di incensuratezza dell'imputato, per altro gravato da altre condanne, sia pur non definitive". Riferendosi alle dichiarazioni di uno dei presenti la sera della vigilia di Natale del 2005, Roberto Raffaelli, i giudici chiariscono che non c'è stato ''alcun addormentamento da parte di Silvio Berlusconi o inceppamento del pc''. ''Pesantemente gravate da profili di inattendibilità oggettiva'' definiscono i giudici le testimonianze di Raffaelli ''non capaci di spiegare quanto accadde ad Arcore quella sera''. Secondo i giudici, deve ''piuttosto ritenersi, sulla base di quanto obiettivamente riscontrato in premessa e riferito nel 2005 da Favata, che quella sera la registrazione audio venne ascoltata attraverso il computer''. "La frase 'abbiamo una banca', è stato detto, è rimasta impressa nella memoria collettiva - scrivono i giudici milanesi -, segno dell'efficacia dell'operazione mediatica di cui è stata oggetto. Così efficace da rimanervi dopo anni".  "Tale considerazione - proseguono - conduce alla peculiare suggestività dell'intercettazione pubblicata, capace di dispiegare quegli effetti sull'opinione pubblica dei quali hanno riferito vari testi". I giudici si soffermano poi su "colui che ha individuato, tra tante, quella telefonata". Costui, per loro, ha avuto anche la "capacità, o la fortuna, di individuare questa conversazione, certamente carica di portata evocativa nella frase che è stata divulgata sui mass media, significativa della capacità della sinistra di 'fare affari' e mettersi a tavolino con i poteri forti, in aperto contrasto con la tradizione storica se non di quel partito, quantomeno, dell'orientamento del suo elettorato".Per gli avvocati Piero Longo e Niccolò Ghedini  le motivazioni della sentenza ''dimostrano ancora una volta la impossibilità di celebrare dei processi a Silvio Berlusconi a Milano. Tale decisione appare ancor più straordinaria visto che ad un incensurato si negano non solo le attenuanti generiche ma anche la sospensione condizionale, confermando vieppiù il pregiudizio". E' una sentenza, aggiungono, ''basata sull'incredibile principio del cui prodest, che non potrà che essere riformata nei gradi successivi".

 

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