Valutazione attuale:  / 1
ScarsoOttimo 
Pubblicato Martedì, 07 Aprile 2015 21:30
Visite: 9007

Una celebre frase di Weber è premonitrice del dibattito che si sarebbe sviluppato fin dai primi decenni del novecento tra i sociologi, orientato a superare il modello weberiano di burocrazia.

…. I progressi nella sfera delle scienze sociali sono sostanzialmente collegati allo studio dei problemi pratici ed assumono l’aspetto di una critica al tipo ideale

 

Burocrazia

Il burocrate puro, nell’analisi weberiana, ha frequentato scuole, ottenuto titoli e seguito corsi di tirocinio e di perfezionamento allo scopo di arrivare a una conoscenza approfondita di tutta la normativa dell’organizzazione, padroneggiarla senza incertezze e applicarla nei modi più appropriati. Una preparazione specializzata, secondo Weber, è indispensabile per svolgere efficientemente un compito in seno ad una burocrazia.

Negli anni ’30 Merton (1), che è stato uno dei più acuti critici del modello weberiano di burocrazia, attirò l’attenzione sul fatto che la formazione professionale data ai funzionari poteva non essere adeguata e parlò di “incapacità addestrata”. Con questa espressione Merton indicava la conseguenza inattesa che si manifesta quando “le azioni basate sull’addestramento e l’abilità tecnica, che in passato avevano dato un risultato positivo, possono risultare inappropriate sotto mutate condizioni”. Il funzionario viene addestrato ad una certa procedura nella presunzione che la realtà da affrontare rimanga indefinitamente la stessa. Ma quando la realtà muta e sorgono problemi inediti, tutto l’apparato di tecniche, abitudini, riferimenti a procedure o a decisioni precedenti viene messo in crisi. L’addestramento troppo specifico del funzionario si traduce in mancanza di duttilità nell’applicazione delle norme e quindi in un mancato perseguimento degli scopi per cui l’organismo burocratico era stato creato.

La burocrazia si troverebbe così, secondo Merton, nell’incapacità di adattarsi al nuovo perché vincolata alla specializzazione per procedure, alla loro standardizzazione e al medesimo rispetto delle norme regolamentari; l’azione burocratica diviene rigida e statica, negando flessibilità all’addestramento, incapace di adeguare le norme al mutamento sociale.

Il mancato adattamento provocherà ansie e frustrazioni al funzionario a causa del mancato perseguimento degli scopi per cui l’organismo burocratico era stato creato.

Merton richiamava l’attenzione su uno dei difetti più diffusi nelle organizzazioni burocratiche, in particolare quelle del pubblico impiego. In realtà l’inconveniente messo in luce da Merton rifletteva un atteggiamento largamente diffuso nella società del tempo e cioè che la preparazione tecnica e culturale acquisita prima di cominciare un determinato lavoro fosse un patrimonio sufficiente a svolgere quel lavoro per un tempo indeterminato. Si aveva una concezione statica della cultura e delle competenze. La lentezza delle innovazioni tecnico-scientifiche e la resistenza degli organi di governo delle burocrazie a cambiare pratiche consolidate portava spesso a supporre che il titolo conseguito al termine degli studi fosse di per sé garanzia di una competenza professionale valida senza limiti di tempo.

Il ritualismo burocratico

Ma la critica di Merton è molto più radicale. In particolare, egli sostiene che un modello come quello descritto da Weber genera conseguenze secondarie inattese che spesso sono contrarie agli obiettivi e si oppongono ai principi dell’organizzazione.

Secondo questo autore, l’uniformità del comportamento imposta ai funzionari genera un atteggiamento ritualistico in cui norme e procedure vengono “santificate”. Merton propone il termine di ritualismo per denotare appunto l’atteggiamento di chi pone al primo posto nella scala dei valori la fedeltà fine a se stessa alle norme perdendo di vista i fini reali dell’organizzazione. Il ritualismo, a sua volta, si traduce in rigidità che rende difficile per l’organizzazione rispondere ed adattarsi a situazioni ed esigenze particolari. “In questo modo proprio le condizioni che normalmente portano all’efficienza  in situazioni particolari e specifiche producono inefficienze … Le regole diventano ad un certo punto simboliche piuttosto che strettamente utilitarie“. Si deve, altresì, tener conto del fatto che l’organizzazione burocratica, come sistema chiuso, opera con un regime giuridico dotato di particolare forza e valore formale: un sistema organizzativo siffatto ha come caratteristica principale la rigidità e non può in alcun modo adattarsi al mutamento, tendendo al contrario a resistere ad ogni cambiamento e trasformazione.

La rigidità predicata da Merton non è riferita al solo aspetto esterno dell’organizzazione, perché essa viene applicata anche alla suddivisione dei compiti per mansioni parcellizzate. Ciò permette di sviluppare quello che Merton chiama spirito di corpo che, a sua volta, alimenta il fossato che intercorre tra funzionario e pubblico.

Scrive Merton:

I funzionari hanno coscienza che un destino comune unisce tutti coloro che lavorano insieme. Essi condividono i medesimi interessi e questo fenomeno è favorito dal fatto che la competizione è relativamente limitata dall’esistenza di un progresso di carriera in termini di anzianità. La lotta all’interno del gruppo è così ridotta al minimo …

La creazione di uno spirito di casta porta spesso i burocrati a difendere i propri interessi costituiti piuttosto che ad assistere gli utenti e i superiori. Gli utenti diventano così vittime di un trattamento lacunoso per rigidità e lentezza, mentre i superiori corrono il rischio di restare privi di vitali informazioni dai loro dipendenti.

La “guerriglia” dei subordinati verso i superiori può però assumere anche la forma contraria: di fronte alla imposizione di fornire informazioni pena le sanzioni previste dal regolamento, essi possono reagire sommergendo i superiori in una quantità inutile di documenti. Anche questa è una strategia di difesa quando i funzionari si sentono minacciati nella loro integrità di gruppo.

Ad alimentare l’inefficienza non gioca soltanto la difesa degli interessi di corpo, ma la stessa struttura mentale dei burocrati che li porta ad identificarsi quasi sacralmente con il loro stile di vita. Ciò si esprime in un orgoglio di mestiere che li induce ad opporre resistenza ad ogni mutamento della prassi stabilita o almeno ai mutamenti che percepiscono come imposti dall’esterno.

Un’altra fonte strutturale di disfunzione si trova nell’irriducibile contrasto tra il modo di procedere del burocrate e le aspettative dell’utente. Da un lato la personalità del burocrate ruota intorno alla norma dell’impersonalità, e il dovere di essere sensibile ai multiformi problemi degli utenti gli si manifesta nella “categorizzazione” di quei problemi, ossia nel catalogarli secondo regole generali e astratte. Dall’altro lato l’utente è preoccupato di mettere in evidenza quelli che gli appaiono come gli aspetti particolari e unici del suo problema e non gradisce il comportamento stereotipato del burocrate che riduce il suo caso a una pratica. Da un lato gli utenti chiedono che i funzionari dimostrino duttilità, che quindi introducano nel loro comportamento valutazioni di tipo personale. Dall’altro lato però se all’interno della struttura burocratica un trattamento personale sostituisse il trattamento impersonale previsto dal regolamento, ciò provocherebbe diffusa disapprovazione e accuse di favoritismo e nepotismo.

Con queste note piuttosto pessimiste si conclude l’analisi di Merton. Egli non fornisce proposte di soluzione, né potrebbe fornirle avendo dimostrato la inevitabilità strutturale di alcune disfunzioni. Ma in realtà egli non è interessato tanto al superamento dei mali diagnosticati, quanto piuttosto ad una sempre più penetrante comprensione della loro genesi e delle loro dinamiche.

Conclusioni

Weber aveva teorizzato che il sistema razional-legale della burocrazia non implicava nessuna identificazione dei soggetti con i loro scopi; ma non aveva misurato gli effetti di questa proprietà: invece di servire le organizzazioni, i suoi funzionari erano portati a servire le regole dell’organizzazione, passate dallo stato di mezzi a quello di fini in sé. Ne derivava, come si è visto, una cascata di conseguenze “disfunzionali”: a forza di “ritualità”, il comportamento dei soggetti aveva l’effetto naturale di rafforzare la rigidità del sistema; per contro, sviluppava uno “spirito di casta”, creando un fossato tra il funzionario e il suo pubblico. Così Merton si trovava davanti a un “circolo vizioso disfunzionale”, avviato da una serie di aggiustamenti successivi del comportamento dei soggetti tra loro e nei confronti della loro clientela. Questa descrizione, tanto amara quanto lucida, doveva poi essere corroborata e completata da tutta una serie di osservazioni che troveranno nell’analisi del sociologo francese Michel Crozier l’esposizione più compiuta.

Riferimenti bibliografici 

Albrow M., Burocrazia, in Enciclopedia delle Scienze Sociali – Treccani, 1991.

Bendix R., Max Weber, An Intellectual Portrait, Heinemann, London, 1960.

Bonazzi G., Come studiare le organizzazioni, il Mulino, 2006.

Bonazzi G., Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli, Milano, 2008.

Dunn J. E altri, Politica, Vocabolario a cura di L. Ornaghi, Jaca Book, Milano, 1993.

Ferrarotti F. – Spreafico A., La burocrazia, il Mulino, Bologna, 1975.

Fontana F., Il sistema organizzativo aziendale, Franco Angeli, 1999.

Losito M., La sociologia di Max Weber, in Enciclopedia Italiana – Treccani, 2006.

Merton R.K. (1949, 1° ed.), Social Theory and Social Structure, Free Press, Glengoe (tr. It., Teoria e struttura sociale, il Mulino, Bologna, 1966, 2° ed.).

Rossi P. (a cura di), Max Weber e l’analisi del mondo moderno, Einaudi, Torino, 1981.

Segrestin D., Sociologia dell’impresa, Ed. Dedalo, Bari, 1994.

Siti web ed altri libri di management hanno fornito informazioni in modo meno rilevante

———-
(1) Robert King Merton (1910-2003) è stato un sociologo statunitense, professore dal 1941 alla Columbia University e direttore del Bureau of Applied Social Research. Esponente, tra i principali, della scuola funzionalista in America, ha dato originali contributi allo sviluppo della metodologia della ricerca sociologica. Si è occupato principalmente di sociologia della conoscenza, della propaganda e delle comunicazioni di massa, approfondendo inoltre dal punto di vista della sua disciplina il tema classico della burocrazia. Contro le pretese di sistemi sociologici “universali”, ha sempre sostenuto la validità di teorie che fossero strettamente legate ai metodi empirici e statistici della scienza, volutamente limitate ed eventualmente coordinabili in schemi più ampi.

  1. Giddings Professor nel 1963, è stato il primo sociologo ad essere insignito dal Presidente degli Stati Uniti d’America della National Medal of Science, massima onorificenza scientifica statunitense, ricevendo durante la sua carriera – a partire dal 1956 – più di trenta titoli accademici honoris causa.

La sua opera forse più ponderosa è Social theory and social structure, pubblicata per la prima volta nel 1949 e poi ampliata nel 1957 e nel 1968. Altri suoi testi importanti sono stati: Reader in bureaucracy (1952); Freedom and control in modern society (1955); The freedom to read (1958); Sociology today (1959); Contemporary social problems (1961); Sociological research (1963); On theoretical sociology (1967); The sociology of science. Theoretical and empirical investigations (1973); Sociological ambivalence (1976).

 

 

 

Il burocrate puro, nell’analisi weberiana, ha frequentato scuole, ottenuto titoli e seguito corsi di tirocinio e di perfezionamento allo scopo di arrivare a una conoscenza approfondita di tutta la normativa dell’organizzazione, padroneggiarla senza incertezze e applicarla nei modi più appropriati. Una preparazione specializzata, secondo Weber, è indispensabile per svolgere efficientemente un compito in seno ad una burocrazia.

Negli anni ’30 Merton (1), che è stato uno dei più acuti critici del modello weberiano di burocrazia, attirò l’attenzione sul fatto che la formazione professionale data ai funzionari poteva non essere adeguata e parlò di “incapacità addestrata”. Con questa espressione Merton indicava la conseguenza inattesa che si manifesta quando “le azioni basate sull’addestramento e l’abilità tecnica, che in passato avevano dato un risultato positivo, possono risultare inappropriate sotto mutate condizioni”. Il funzionario viene addestrato ad una certa procedura nella presunzione che la realtà da affrontare rimanga indefinitamente la stessa. Ma quando la realtà muta e sorgono problemi inediti, tutto l’apparato di tecniche, abitudini, riferimenti a procedure o a decisioni precedenti viene messo in crisi. L’addestramento troppo specifico del funzionario si traduce in mancanza di duttilità nell’applicazione delle norme e quindi in un mancato perseguimento degli scopi per cui l’organismo burocratico era stato creato.

La burocrazia si troverebbe così, secondo Merton, nell’incapacità di adattarsi al nuovo perché vincolata alla specializzazione per procedure, alla loro standardizzazione e al medesimo rispetto delle norme regolamentari; l’azione burocratica diviene rigida e statica, negando flessibilità all’addestramento, incapace di adeguare le norme al mutamento sociale.

Il mancato adattamento provocherà ansie e frustrazioni al funzionario a causa del mancato perseguimento degli scopi per cui l’organismo burocratico era stato creato.

Merton richiamava l’attenzione su uno dei difetti più diffusi nelle organizzazioni burocratiche, in particolare quelle del pubblico impiego. In realtà l’inconveniente messo in luce da Merton rifletteva un atteggiamento largamente diffuso nella società del tempo e cioè che la preparazione tecnica e culturale acquisita prima di cominciare un determinato lavoro fosse un patrimonio sufficiente a svolgere quel lavoro per un tempo indeterminato. Si aveva una concezione statica della cultura e delle competenze. La lentezza delle innovazioni tecnico-scientifiche e la resistenza degli organi di governo delle burocrazie a cambiare pratiche consolidate portava spesso a supporre che il titolo conseguito al termine degli studi fosse di per sé garanzia di una competenza professionale valida senza limiti di tempo.

Il ritualismo burocratico

Ma la critica di Merton è molto più radicale. In particolare, egli sostiene che un modello come quello descritto da Weber genera conseguenze secondarie inattese che spesso sono contrarie agli obiettivi e si oppongono ai principi dell’organizzazione.

Secondo questo autore, l’uniformità del comportamento imposta ai funzionari genera un atteggiamento ritualistico in cui norme e procedure vengono “santificate”. Merton propone il termine di ritualismo per denotare appunto l’atteggiamento di chi pone al primo posto nella scala dei valori la fedeltà fine a se stessa alle norme perdendo di vista i fini reali dell’organizzazione. Il ritualismo, a sua volta, si traduce in rigidità che rende difficile per l’organizzazione rispondere ed adattarsi a situazioni ed esigenze particolari. “In questo modo proprio le condizioni che normalmente portano all’efficienza  in situazioni particolari e specifiche producono inefficienze … Le regole diventano ad un certo punto simboliche piuttosto che strettamente utilitarie“. Si deve, altresì, tener conto del fatto che l’organizzazione burocratica, come sistema chiuso, opera con un regime giuridico dotato di particolare forza e valore formale: un sistema organizzativo siffatto ha come caratteristica principale la rigidità e non può in alcun modo adattarsi al mutamento, tendendo al contrario a resistere ad ogni cambiamento e trasformazione.

La rigidità predicata da Merton non è riferita al solo aspetto esterno dell’organizzazione, perché essa viene applicata anche alla suddivisione dei compiti per mansioni parcellizzate. Ciò permette di sviluppare quello che Merton chiama spirito di corpo che, a sua volta, alimenta il fossato che intercorre tra funzionario e pubblico.

Scrive Merton:

I funzionari hanno coscienza che un destino comune unisce tutti coloro che lavorano insieme. Essi condividono i medesimi interessi e questo fenomeno è favorito dal fatto che la competizione è relativamente limitata dall’esistenza di un progresso di carriera in termini di anzianità. La lotta all’interno del gruppo è così ridotta al minimo …

La creazione di uno spirito di casta porta spesso i burocrati a difendere i propri interessi costituiti piuttosto che ad assistere gli utenti e i superiori. Gli utenti diventano così vittime di un trattamento lacunoso per rigidità e lentezza, mentre i superiori corrono il rischio di restare privi di vitali informazioni dai loro dipendenti.

La “guerriglia” dei subordinati verso i superiori può però assumere anche la forma contraria: di fronte alla imposizione di fornire informazioni pena le sanzioni previste dal regolamento, essi possono reagire sommergendo i superiori in una quantità inutile di documenti. Anche questa è una strategia di difesa quando i funzionari si sentono minacciati nella loro integrità di gruppo.

Ad alimentare l’inefficienza non gioca soltanto la difesa degli interessi di corpo, ma la stessa struttura mentale dei burocrati che li porta ad identificarsi quasi sacralmente con il loro stile di vita. Ciò si esprime in un orgoglio di mestiere che li induce ad opporre resistenza ad ogni mutamento della prassi stabilita o almeno ai mutamenti che percepiscono come imposti dall’esterno.

Un’altra fonte strutturale di disfunzione si trova nell’irriducibile contrasto tra il modo di procedere del burocrate e le aspettative dell’utente. Da un lato la personalità del burocrate ruota intorno alla norma dell’impersonalità, e il dovere di essere sensibile ai multiformi problemi degli utenti gli si manifesta nella “categorizzazione” di quei problemi, ossia nel catalogarli secondo regole generali e astratte. Dall’altro lato l’utente è preoccupato di mettere in evidenza quelli che gli appaiono come gli aspetti particolari e unici del suo problema e non gradisce il comportamento stereotipato del burocrate che riduce il suo caso a una pratica. Da un lato gli utenti chiedono che i funzionari dimostrino duttilità, che quindi introducano nel loro comportamento valutazioni di tipo personale. Dall’altro lato però se all’interno della struttura burocratica un trattamento personale sostituisse il trattamento impersonale previsto dal regolamento, ciò provocherebbe diffusa disapprovazione e accuse di favoritismo e nepotismo.

Con queste note piuttosto pessimiste si conclude l’analisi di Merton. Egli non fornisce proposte di soluzione, né potrebbe fornirle avendo dimostrato la inevitabilità strutturale di alcune disfunzioni. Ma in realtà egli non è interessato tanto al superamento dei mali diagnosticati, quanto piuttosto ad una sempre più penetrante comprensione della loro genesi e delle loro dinamiche.

Conclusioni

Weber aveva teorizzato che il sistema razional-legale della burocrazia non implicava nessuna identificazione dei soggetti con i loro scopi; ma non aveva misurato gli effetti di questa proprietà: invece di servire le organizzazioni, i suoi funzionari erano portati a servire le regole dell’organizzazione, passate dallo stato di mezzi a quello di fini in sé. Ne derivava, come si è visto, una cascata di conseguenze “disfunzionali”: a forza di “ritualità”, il comportamento dei soggetti aveva l’effetto naturale di rafforzare la rigidità del sistema; per contro, sviluppava uno “spirito di casta”, creando un fossato tra il funzionario e il suo pubblico. Così Merton si trovava davanti a un “circolo vizioso disfunzionale”, avviato da una serie di aggiustamenti successivi del comportamento dei soggetti tra loro e nei confronti della loro clientela. Questa descrizione, tanto amara quanto lucida, doveva poi essere corroborata e completata da tutta una serie di osservazioni che troveranno nell’analisi del sociologo francese Michel Crozier l’esposizione più compiuta.

Riferimenti bibliografici 

Albrow M., Burocrazia, in Enciclopedia delle Scienze Sociali – Treccani, 1991.

Bendix R., Max Weber, An Intellectual Portrait, Heinemann, London, 1960.

Bonazzi G., Come studiare le organizzazioni, il Mulino, 2006.

Bonazzi G., Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli, Milano, 2008.

Dunn J. E altri, Politica, Vocabolario a cura di L. Ornaghi, Jaca Book, Milano, 1993.

Ferrarotti F. – Spreafico A., La burocrazia, il Mulino, Bologna, 1975.

Fontana F., Il sistema organizzativo aziendale, Franco Angeli, 1999.

Losito M., La sociologia di Max Weber, in Enciclopedia Italiana – Treccani, 2006.

Merton R.K. (1949, 1° ed.), Social Theory and Social Structure, Free Press, Glengoe (tr. It., Teoria e struttura sociale, il Mulino, Bologna, 1966, 2° ed.).

Rossi P. (a cura di), Max Weber e l’analisi del mondo moderno, Einaudi, Torino, 1981.

Segrestin D., Sociologia dell’impresa, Ed. Dedalo, Bari, 1994.

Siti web ed altri libri di management hanno fornito informazioni in modo meno rilevante

———-
(1) Robert King Merton (1910-2003) è stato un sociologo statunitense, professore dal 1941 alla Columbia University e direttore del Bureau of Applied Social Research. Esponente, tra i principali, della scuola funzionalista in America, ha dato originali contributi allo sviluppo della metodologia della ricerca sociologica. Si è occupato principalmente di sociologia della conoscenza, della propaganda e delle comunicazioni di massa, approfondendo inoltre dal punto di vista della sua disciplina il tema classico della burocrazia. Contro le pretese di sistemi sociologici “universali”, ha sempre sostenuto la validità di teorie che fossero strettamente legate ai metodi empirici e statistici della scienza, volutamente limitate ed eventualmente coordinabili in schemi più ampi.

  1. Giddings Professor nel 1963, è stato il primo sociologo ad essere insignito dal Presidente degli Stati Uniti d’America della National Medal of Science, massima onorificenza scientifica statunitense, ricevendo durante la sua carriera – a partire dal 1956 – più di trenta titoli accademici honoris causa.

La sua opera forse più ponderosa è Social theory and social structure, pubblicata per la prima volta nel 1949 e poi ampliata nel 1957 e nel 1968. Altri suoi testi importanti sono stati: Reader in bureaucracy (1952); Freedom and control in modern society (1955); The freedom to read (1958); Sociology today (1959); Contemporary social problems (1961); Sociological research (1963); On theoretical sociology (1967); The sociology of science. Theoretical and empirical investigations (1973); Sociological ambivalence (1976).

Submit to FacebookSubmit to Google BookmarksSubmit to Twitter
Submit to FacebookSubmit to Google BookmarksSubmit to Twitter
comments