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Il triste declino dell'Isola in Fiera

Dopo una vita interamente spesa nell'arduo tentativo di stare a galla, si è serenamente spenta, all'età di 66 anni,

L'Unione Sarda

Giorgio Pisano

Dopo una vita interamente spesa nell'arduo tentativo di stare a galla, si è serenamente spenta, all'età di 66 anni, la Fiera campionaria di Cagliari. Spenta, non chiusa. Visitare per credere. Nonostante l'accanimento terapeutico profuso dal presidente (Ignazio Schirru) e dal super-presidente (Giancarlo Deidda), il risultato è sotto gli occhi di tutti. Vivamente sconsigliato ai depressi.
Basta un'incursione per rendersene conto. Per esempio in una mattina come quella di ieri, cielo basso e pioggia annunciata, dopo aver mancato il tradizionale appuntamento col giorno della inaugurazione. Superate le biglietterie (da 3 a 5 euro: ma 3 o 5 euro per cosa?), ecco finalmente una mappa elettronica. Senza uno straccio di indicazione, sembra un giochino della Settimana enigmistica: chi riesce a interpretarla può considerarsi un solutore più che abile.
I padiglioni aperti sono dieci, chiusi due. Sprangati i piani superiori. A disposizione per i ritardatari 16 metri quadrati nel padiglione N e più di 500 nel piazzale. Gli espositori sono in fuga. Ancora di più i visitatori: dei 500 mila contati ai tempi d'oro, adesso si spera con l'ottimismo della volontà di arrivare ad almeno 200. Mila, s'intende.
Alle ore 11 tre vigili del fuoco passeggiano annoiati in un immenso spazio vuoto. Lo storico tubo di cemento, un segmento di condotta idraulica dove da bambini ci si allenava a fare i criceti nella ruota, ora ospita soltanto graffiti d'amore, una cascata di tvmb 4ever. E nessun corpo umano. Sotto la cupola dei cosiddetti stand esteri, Enedina Bottazzi - che ha risposto all'appello della Fiera da 47 anni a questa parte - propone stavolta bigodini magici («guardi qui, come vengono bene i capelli»), dischetti per la depilazione e un aggeggetto che serve (servirebbe) a fare «bellissimi disegni». Intorno è silenzio.
Nello stand delle Fornaci Scanu, ortensie mattoni e cemento, un solitario unico e (forse) disperato addetto: «Non siamo mai stati in Fiera per vendere ma solo per ragioni d'immagine». Radio-chiacchiera dice invece che da qui a due giorni sono attesi importanti buyers (i probabili acquirenti ora si chiamano così) che arriverebbero nientemeno che dal vicino Oriente, come i re Magi. In quello stesso istante, la verità affidata ai numeri dice che negli sterminati corridoi di quello che una volta era il salone della Nautica e adesso degli infissi, alle 11 e un quarto di sabato sono presenti 52 visitatori e un bassotto, francamente disinteressato. Tra porte scorrevoli e finestre sigillanti come neppure Manzotin, spiccano quest'anno le porte con i vetri intarsiati di fiori.
La disperazione è uno spettro che s'aggira per il padiglione se basta il taccuino di un cronista per attirare l'attenzione: «Scusi, lei fa il giornalista?», chiedono compiti dallo stand del Modelecritacal Sardinia, «E allora parli di noi». Fatto.
A colpo d'occhio gli unici segni di vita arrivano dal Luna park dove, mescolati a una musica-disco che rompe i timpani, appaiono visitatori felici: adolescenti, piccolissimi con papà e mamma davanti al castello delle streghe, qualche maturo signore incuriosito dal panorama umano che gli sta intorno. A gestire quest'azienda che dà lavoro a una trentina di persone sono i fratelli Alex e Carmen Duville, quarta generazione di giostrai presenti in Fiera. «Come va? Non benissimo. La crisi è sempre più forte. Noi veniamo qui perché questa è una tappa affettiva della nostra famiglia». Conclusione: «Possibile che nessuno abbia capito che questo gigantesco baraccone è superato? Ha vinto internet. Se vuoi comprare qualcosa, perché spostarsi da casa, pagare un biglietto e arrivare fino a viale Diaz?» Non ne vale più la pena. Come uscirne? Il messaggio di Carmen, sotto luminosissimi occhi azzurri, riecheggia involontariamente Berlusconi ma è chiaro: «Meno espositori per tutti». Per fare cosa? «Più svago, perché quello, sul computer, non lo puoi trovare».
Dicono che la crisi ha cominciato a farsi sentire tre anni fa, ed è andata sempre peggio. Di fronte all'agro-alimentare ci sono molti gazebo rimasti vuoti: non troppi anni fa richiamavano folle. Sarà anche vero, come fanno notare ai vertici, che «alla Fiera non interessa il pubblico delle città mercato» ma almeno c'era vita. Sottoproletaria, ma vita. Lo sa bene il romanaccio che vende uno sbuccia-taglia-affetta ananas. Ha un microfono sulle labbra proprio come un presentatore televisivo del sabato sera e sciorina le mirabolanti qualità di «questa splendida idea-regalo». Eccezionalmente la offre, ma proprio perché siamo a Cagliari, a 10 euro anziché a 19 e 90. E, in più, aggiunge in omaggio un coltello oppure un ananas vero: così si possono cominciare subito i compiti a casa.
Pochi metri più in là, un altro venditore finge di non capire la domanda sulla crisi. Poi, vista l'insistenza, spiega fuori virgolette: «Amico mio, noi siamo sotto padrone. Se ti dico che non si vende una mazza, domani mi licenziano a pedate nel sedere». Dunque, sorrisi d'ordinanza perché così dev'essere. Radio-chiacchiera, attivissima ed anonima emittente, sussurra che mediamente un gazebo incassa 50 mila euro in 12 giorni, da 5 agli 8 mila vanno in tasca «puliti puliti» a chi ci lavora.
Dev'essere per questo che un non meglio precisato Giuseppe presenta con larghissimo sorriso a uno sparuto pubblico quello che sembra un oggetto porno: il tubo estensibile che cresce. «E non si annoda», puntualizza lui per magnificare il prodotto. Cos'è? Una pompa da giardino che sembra muoversi da sola e, almeno in teoria, non fa inciampare.
Il meglio dicono stia nel padiglione allestito dalle Camere di commercio della Sardegna, incluso lo stand interattivo messo a punto con la collaborazione dell'ipertecnologico Crs4. Niente di stupefacente. L'unica vetrina dove si vede ressa è quella che vende il pane di Gonnos. Alla fine della visita resta un dubbio: sicuri che la Fiera sia soltanto spenta?

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